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Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798, figlio del conte Monaldo, uomo colto fortemente conservatore nei confronti delle innovazioni del mondo e di Adelaide Anticini donna poco affettuosa che si occupava dell’economia familiare. Era una famiglia molto numerosa: Giacomo era il primo di otto figli. Intraprese gli studi con i fratelli Carlo e Paolina sotto la guida di un sacerdote e del padre, utilizzando la ricca biblioteca paterna e rivelando ingegno precoce. Imparò in breve tempo il latino, il greco, l’ebraico ed alcune lingue moderne. A 15 anni (1813) compose una storia dell’astronomia, a 16 anni (1814) studiò filologia classica, a 17 anni (1815) scrisse il saggio “Sopra gli errori popolari degli antichi”; a 18 anni (1816) tradusse il primo libro dell’Odissea e il secondo dell’Eneide.

La crisi di Giacomo Leopardi
In seguito cadde in un periodo di crisi che durò sette anni. Questi furono “sette anni di studio matto e disperatissimo” come li definì lui in una famosa lettera, all’amico Pietro Giordani, anni a cui attribuiva l’origine dei mali fisici (problemi alla schiena e alla vista). In quel periodo intraprese la stesura di un diario che chiamò “Zibaldone dei pensieri”, che raccoglieva un insieme di appunti di vario argomento. Successivamente ci un fu un periodo di rottura con la propria famiglia, egli infatti voleva essere libero e indipendente e la sua produzione letteraria si alzò di livello; in questo periodo compose gli “Idilli”, una poetica sentimentale cui riconosciamo “L’Infinito”, “La sera del dì di festa” e “Alla Luna”. Poi si trasferì a Roma, ma rimasto deluso tornò a Recanati: è proprio qui che egli compose le Operette morali in prosa composta da dialoghi in cui lo scrittore si interrogava su temi spinosi (la crudeltà della natura, l’infelicità della vita…). Dopo le Operette ci fu un silenzio poetico che durò diversi anni. Stava entrando il nostro poeta in quello che verrà definito il “pessimismo cosmico”. Poi si trasferì a Milano, a Bologna, a Firenze; è a Pisa che egli trovò la sua ispirazione e scrisse una delle sue poesie più celebri, “A Silvia”. Tra il 1828 e il 1837 tornò nuovamente a Recanati, compose due poesie fortissime: “Il sabato del villaggio” e “La quiete dopo la tempesta”. Successivamente lasciò per sempre il natio borgo selvaggio. Ritornò quindi a Firenze e innamoratosi di una dama, non corrisposto, disse addio all’amore. Partì per Napoli e compose “A se stesso”, “Il pensiero dominante”, “Amore e morte”, “Aspasia”. Morì a Napoli nel 1837 del 14 giugno.

Giacomo_Leopardi_Morelli
Domenico Morelli, Public domain, via Wikimedia Commons